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Lunedì 22/07/2024 - Gv 20, 1. 11-18

  • Immagine del redattore: Marco Acquati
    Marco Acquati
  • 21 lug 2024
  • Tempo di lettura: 3 min
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In quel tempo. Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!» –. Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

«Maria!» Se “L’omelia è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un Pastore con il suo popolo.” (EG 135) allora Gesù riesce a produrre un’omelia con una parola soltanto. Perché Maria, dopo aver sentito pronunciato il suo nome, ne esce trasformata e la vicinanza con il suo maestro e Signore non è mai stata così forte. Ancora l’Evangelli Gaudium”: “L’omelia può essere realmente un’intensa e felice esperienza dello Spirito.” Il testo non lo dice e noi possiamo solo immaginarlo: la gioia di Maria al rivedere il suo maestro e Signore deve essere stata talmente grande, che non possiamo non dire che questa è stata anche un’esperienza dello Spirito.

In una comunità (cristiana o civile) tutti dovrebbero sentirsi chiamare per nome. Non una chiamata qualunque, non un appello. Ma una chiamata che riveli ciò che di straordinario il chiamato può essere per il chiamante. Così come è avvenuto in questo episodio evangelico. E’ evidente che lo scopo di questa particolare manifestazione di Gesù, nella mattina del giorno dopo la Pasqua ebraica, non è rivelare ciò che lui è. Se questo fosse stato, Gesù avrebbe usato altri modi (es. l’episodio della Trasfigurazione o dei discepoli di Emmaus). Qui invece Gesù vuole proprio dire: Tu ci sei, sei qui, con la tua vita - e il nome che ti porti dietro - e sei importante per me. Ne nasce una fratellanza (nota: nel Vangelo di Giovanni, solo qui, quando è risorto, Gesù parla dei suoi discepoli definendoli “fratelli”).

Possiamo compiere un utile esercizio di immedesimarci: se fossimo stati noi al posto di Maria, come sarebbe stato pronunciato il nostro nome? Quale intonazione avremmo desiderato sentire?

E poi pensiamo: quando ci è capitato di sentirci chiamati in modo simile? Magari un vecchio amico o compagno che non vedi da tempo e che, dopo questa particolare “chiamata” condivide con te un po’ del suo tempo a rimestar ricordi, facendo di tutto questo una “esperienza dello Spirito”. Cosa ne è rimasto?

Andando a scavare a fondo nei fatti di cronaca che non prendono le prime pagine dei giornali, si scoprono racconti, di questi giorni, che sono “esperienze mai vissute prima”, a detta di chi ci ha direttamente partecipato. Qualcosa, quindi, che rimanda all’esperienza di Maria con il Risorto. Qui l’articolo:


 
 
 

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