Lunedì 13/10/2025 - Lc 22, 35-37
- Marco Acquati
- 12 ott
- Tempo di lettura: 6 min

In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quando vi ho mandato senza borsa, né sacca, né sandali, vi è forse mancato qualcosa?». Risposero: «Nulla». Ed egli soggiunse: «Ma ora, chi ha una borsa la prenda, e così chi ha una sacca; chi non ha spada, venda il mantello e ne compri una. Perché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura: “E fu annoverato tra gli empi”. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo compimento».
Rachel Whiteread è un’artista britannica vivente (nata 1963). La sua opera artistica si concentra soprattutto nella realizzazione di calchi di ordinari oggetti domestici e, in numerosi casi, del loro cosiddetto spazio negativo. Riempie spazi vuoti (sotto sedie, all'interno di stanze, sotto scale) con materiali solidi, creando sculture che rivelano lo spazio assente per sottrazione concettuale. Per i calchi usa calcestruzzo, resina e gesso: materiali poveri, quindi. Dice che i calchi che lei realizza portano "i residui di anni e anni di utilizzo". Ma la sua non è una ricerca sulla nostalgia. Piuttosto è una poetica della scomparsa. Cosa succede quando avviene una mancanza e quella mancanza non trova più la grammatica per essere trasmessa a nuovi testimoni? Diventa qualcosa che a fatica esiste ma non rimanda più a nulla. Rachel Whiteread, dando forma al vuoto, lo rende oggetto visibile, tangibile e pieno. È il volume invisibile reso visibile, il nulla diventato materia. Spesso sceglie oggetti che hanno valore affettivo, e realizzando il calco ne dà una parvenza di immortalità, che allo stesso tempo perde significato perché il materiale povero con cui sono realizzati i calchi ne fa percepire la finitezza.
La sua opera più famosa si intitola semplicemente “House” (la vedete nell’immagine di copertina), per la quale ha vinto il più prestigioso premio dell’arte contemporanea, il Turner Prize. Per quest’opera, la Whiteread intervenne su un edificio vittoriano in disuso a Londra, un’abitazione destinata alla demolizione, e ne realizzò il calco interno in cemento. Lavorò all’interno degli spazi vuoti, gettando la malta direttamente nelle stanze, nelle scale, nei corridoi e rinforzando la struttura con un’armatura metallica. Per finire, rimosse pazientemente, mattone dopo mattone, l’involucro esterno della casa e ciò che emerse fu la massa piena dell’assenza: il negativo compatto degli spazi abitati, la sagoma inerte di tutto ciò che è stato vissuto, reso quindi impraticabile, intatto e alieno.
La storia della realizzazione dell’opera merita di essere raccontata. Rachel Whiteread vagabondò per mesi nella zona nord-est di Londra per cercare una casa che attendeva di essere demolita. Con la zona nord-est di Londra lei aveva un legame affettivo: ci aveva speso buona parte della sua gioventù. Poi trovò questo piccolo edificio vittoriano a due piani. Era l’unico ancora in piedi in un’area che era stata completamente demolita e quindi si rivelava ideale perché poteva essere visto da tutti i lati. Il lavoro fu molto faticoso e complesso. Lo stampo, la casa stessa, esisteva già, quindi il lavoro era davvero quello di creare un edificio all'interno di quell'edificio. Dovettero trovare un calcestruzzo che non aderisse alla struttura, in modo da poter demolire facilmente la struttura esterna quando il calcestruzzo avesse fatto presa. (Qui potete visionare il documentario che illustra tutto il processo di realizzazione: (82) Documentary: Rachel Whiteread, House (1993) - YouTube). Ma l’opera rimase sul sito solo 80 giorni. Dopo poco la gente del posto incominciò a dirsi infastidita dalla presenza ingombrante di quella grossa massa grigia, soprattutto perché rimandava a qualcosa che non c’era più e che non richiamava più il mito della bellezza vittoriana originaria. Ne ribadiva con violenza l’assenza.
Rachel Whiteread disse: “Volevo che rimanesse? Ho sempre pensato che l'intera faccenda fosse un memoriale all'idea di memoria, e la memoria è sfuggente. Quindi ho pensato che sarebbe stato più risonante se fosse stato temporaneo. Sembrava così ultraterreno, questa forma muta grigio pallido. Nel corso del tempo avrebbe attirato graffiti e sarebbe sembrato più abbandonato. E i memoriali tendono a scomparire nell'ambiente circostante. Non sono sicura che ne staremmo ancora parlando quasi 30 anni dopo se fosse rimasto.”
Questo è l’atteggiamento con il quale ci poniamo di fronte alle cose che cambiano e svaniscono. Le nostre comunità cambiano e non siamo in grado di tramandarne la specificità e la potenza creatrice. Il mondo cristiano, come l’abbiamo conosciuto, sta cambiando e ne avvertiamo il calo di vocazioni e il calo del numero di fedeli, ma - un po’ come la Whiteread - non troviamo il modo di colmare l’assenza che questo cambiamento porta con sè: la rendiamo inconsciamente ancora più visibile e ancora più struggente.
Gesù, nel brano di oggi, annuncia una prossima mancanza, che comporterà una fatica. Quando dice che “tutto volge al suo compimento”, parla della sua morte e del fatto che in corpo, da quel momento, non sarà più con noi. Al contempo, spiega Gesù che dobbiamo attrezzarci. Dobbiamo procurarci sacca e borsa.
Quindi, come fare esperienza di una mancanza che diventi inizio di un nuovo percorso? L’esercizio della Whiteread insegna che la forma concreta del vuoto non riempie il vuoto, lo rivela. Non dobbiamo rimanere in quella assenza perché non faremmo altro che aumentare la fatica che la sua accettazione comporta. Dobbiamo trovare nuove forme.
Gesù impedisce di fare un calco di sè. Il suo corpo non si trova. Il sepolcro è vuoto. Il calco è impossibile. Perché, come insegna la Whiteread, il calco è un monumento all'irreversibilità. Gesù non vuole che il percorso da lui avviato sia irreversibile. C’è anche chi, fra cristiani e non, non si rassegna alla morte di Papa Francesco: “eh, ma quello nuovo non ha lo stesso carisma!” Si sente dire.
Gesù ha speso il tempo della sua presenza su questo mondo per insegnarci che, dopo, la modalità della sua presenza cambierà. Ma - ci ha spiegato - non sarà un simulacro, alla mo’ di Whiteread. La sua presenza non avrà i colori sbiaditi di un calco in calcestruzzo.
Innanzitutto, ci sarà la comunità. Nel suo discorso Gesù si rivolge a un gruppo: tutte le espressioni sono coniugate alla seconda persona plurale. Quando Gesù dice ai discepoli di prepararsi - di prendere borsa, sacca, spada - non sta dicendo a ciascuno di prepararsi individualmente. Sta dicendo loro di prepararsi come comunità. È la comunità che vivrà l'assenza di Gesù. Questa comunità è, in un certo senso, il calco collettivo dell'assenza di Gesù. E non è un calco di colore spento e di materia povera come quelli della Whiteread. E’ un calco vivo, composto dalle persone che compongono la comunità, che la sostengono e la ripensano.
Poi, ci sono gli strumenti di sostegno del pellegrino: la sacca e la borsa, che nelle comunità cristiane sono l’ascolto della Parola, la preghiera, l’Eucaristia. Queste non sono consolazioni, per rimanere pietrificati nell’assenza, ma sono motore per ritrovare l’attualità di un annuncio di salvezza per un mondo che inesorabilmente cambia, e magari distrugge, cancella, elimina.
Gesù ci insegna che le nostre vite credenti non devono essere un calco “spento”, ma devono essere un mezzo attraverso cui l’invisibile parla. Non parla per colmare il vuoto, ma per rimandare al significato di tutto.
Nota importante per chi lavora in centro a Milano: queste riflessioni possono essere ascoltate da vivo ogni lunedì dalle 12:45 alle 13:00 nella cappella dell’Ospedale Fatebenefratelli Milano, ingresso da Corso di Porta Nuova di fronte al civico 52.
Ti prego, Gesù, fa’ che con la tua grazia io non mi stanchi mai di cercarti e di adorarti con tutto il cuore.
Insegnami a conoscerti e ad amarti per imparare da Te ad incontrare e prendermi cura degli altri e a vivere in pienezza la mia vita.
Fa’ che il mio cuore non si inorgoglisca, non cerchi cose più grandi delle mie forze.
Fa’ che si apra al mondo con il Tuo sguardo di compassione e di misericordia e che nel mio cuore trovino eco le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di tutti, dei poveri soprattutto e che sappia anche partecipare con ciò che sono a portare un po’ di Cielo in terra.
Affido a te, Maria, tutti noi affinché ci accompagni, ciascuno con la propria vocazione, in un cammino che non abbia paura di fidarsi ed affidarsi a Gesù, ma che tenda verso l’alto e che profumi di santità, per la gioia del mondo intero. Maria, Madre della Chiesa, prega per noi. Santi e Beati dell’Azione Cattolica, pregate per noi.



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