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Lunedì 11/11/2024 - Mt 25, 31-40

  • Immagine del redattore: Marco Acquati
    Marco Acquati
  • 10 nov 2024
  • Tempo di lettura: 4 min
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In quel tempo. Il Signore Gesù diceva ai suoi discepoli: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”».

“Dimmi quando tu verrai, dimmi quando quando quando…” cantava Tony Renis nel 1962, raccontando della trepidante attesa di un bacio dall'amata. Come tante altre storie, l'attesa è costellata di mille “quando”.

Al di là del tempo dell'innamoramento, le nostre vite sono lastricate di “quando”. Quando troverò impiego? Quando avrò il meritato avanzamento di carriera? Quando andrò in pensione? Quando finirà questo dolore?

Ma per il figlio di Dio, immerso già nell’eternità del Padre, “quando” è un avverbio sconosciuto. In questo brano Gesù lo usa una sola volta, all'inizio, e in un altro versetto riporta un riferimento temporale, anche se non usa “quando”. Il resto del discorso di Gesù è sospeso nel tempo.

Già in Mt 24, di fronte della richiesta dei discepoli che vogliono sapere quando sarà distrutto il Tempio, Gesù risponde che non è dato sapere né il giorno né l'ora (Mt 24, 36).


Lascio a voi contare il numero di volte che “quando” viene pronunciato da coloro che si sono presentati davanti al Figlio dell’Uomo venuto nella gloria. E altrettanti sono pronunciati, nei versetti che seguono questo brano, da coloro posti alla sua sinistra - i “capri”.

I riferimenti temporali di Gesù sono il momento della venuta del Figlio dell’Uomo nella sua gloria e la creazione del mondo, quando il regno fu preparato per i figli amati. La fine e l’inizio. Questi due momenti fanno da cornice al racconto. L’inizio di tutto, la creazione del mondo, e la fine di tutto, la venuta del figlio. E’ il percorso dell’universo. In mezzo ci stanno le vite, piccole o grandi, di chi è cresciuto come pecora e di chi è cresciuto come capro.

A fronte della richiesta dei convocati, “quando abbiamo fatto questo?”, Gesù sottolinea che non importa il “quando” (anche nel testo greco il termine impiegato non può essere tradotto con “quando”), importa che il gesto di amore sia stato fatto. E non importa neanche quante volte sia stato fatto. Infatti, l’avverbio a introduzione della risposta di Gesù, óson, è più propriamente un “finché”: basta che inizi a compiere gesti di amore. E’ il modo che ci è concesso per manifestare la grazia donata. La grazia, infatti, non è conseguenza dei gesti di amore, non è per merito, ma è la causa dei gesti stessi.

E’ Parola che diventa vita e che commuove quella che dice che non importa quanti gesti di amore fai, ma importa che tu li faccia perché riconosci la grazia sovrabbondante. In quel momento, al centro dell’universo fanno festa perché è Gesù il destinatario di quel gesto di amore.

Il tempo, il nostro tempo, è un susseguirsi di monadi indivisibili di momenti, frazioni di tempo, che si succedono. Il tempo dell’Eterno è racchiuso fra il principio, quando tutto fu concepito, e la fine, quando tutto verrà ricondotto alla ragione di tale concepimento. In mezzo non c’è il susseguirsi di frazioni di tempo, ma l’accumularsi di gesti di amore. Perché quando compiamo un gesto di carità noi siamo vicini all’Eterno, gli stringiamo la mano, lo abbracciamo. Siamo parte di quell’eternità, ne siamo il motore.

Infatti, un gesto di carità è costruire un pezzetto di eternità anche perché è strappare dalla morte, come fece Gesù con Lazzaro. Gesù dice che ha avuto fame, ha avuto sete, era immigrato, forestiero, era nudo, era malato, era carcerato. La fame e la sete sono bisogni fisici che se non si soddisfano portano alla morte; l’essere immigrato e nudo sono bisogni morali, senza i quali sei morto civilmente; l’essere malato e carcerato, portano alla morte reale oltre che morale.

Come in questo racconto che viene dal lontano Madagascar:


Ti prego, Gesù, fa’ che con la tua grazia io non mi stanchi mai di cercarti e di adorarti con tutto il cuore.

Insegnami a conoscerti e ad amarti per imparare da Te ad incontrare e prendermi cura degli altri e a vivere in pienezza la mia vita.

Fa’ che il mio cuore non si inorgoglisca, non cerchi cose più grandi delle mie forze.

Fa’ che si apra al mondo con il Tuo sguardo di compassione e di misericordia e che nel mio cuore trovino eco le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di tutti, dei poveri soprattutto e che sappia anche partecipare con ciò che sono a portare un po’ di Cielo in terra.

Affido a te, Maria, tutti noi affinché ci accompagni, ciascuno con la propria vocazione, in un cammino che non abbia paura di fidarsi ed affidarsi a Gesù, ma che tenda verso l’alto e che profumi di santità, per la gioia del mondo intero. Maria, Madre della Chiesa, prega per noi. Santi e Beati dell’Azione Cattolica, pregate per noi.


 
 
 

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