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Lunedì 06/10/2025 - Lc 21, 5-9

  • Immagine del redattore: Marco Acquati
    Marco Acquati
  • 5 ott
  • Tempo di lettura: 4 min
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In quel tempo. Mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, il Signore Gesù disse: «Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta». Gli domandarono: «Maestro, quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?». Rispose: «Badate di non lasciarvi ingannare. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: “Sono io”, e: “Il tempo è vicino”. Non andate dietro a loro! Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine».

Immagino che la foto di copertina di oggi l’abbiate vista milioni di volte. Fu scattata dal famoso fotografo statunitense Steve McCurry nel 1984, presso un campo di profughi afgani in Pakistan. I profughi erano lì perché nella loro terra, l’Afghanistan, era in corso una terribile guerra, iniziata nel 1979, con l’invasione dell’esercito sovietico, e terminata solo nel 1989. La ragazza della foto (di nome Sharbat Gula) perse i genitori nel corso di un bombardamento sovietico sulla sua città e, insieme ai fratelli e alla nonna, attraversò le montagne a piedi per raggiungere il Pakistan, stabilendosi nel campo profughi di Nasir Bagh vicino a Peshawar.

Sono gli occhi penetranti, di un verde intenso, la prima cosa che colpisce di questa foto. La ragazza trasmette dignità, paura e resilienza allo stesso tempo.

Non è, però, dello sguardo della ragazza che vi voglio parlare. Ma del nostro sguardo rivolto alla foto e a quel volto. Sì, proprio quello. Cosa noi vediamo in quella foto?

Ogni foto, di per sè, è selettiva. Sottrae, separa. Voi ora sapete qualcosa di quella ragazza perché vi ho dato due cenni nell’introduzione. Avreste potuto intuire, dal suo sguardo, che la ragazza ha sofferto, ma - veramente - cosa potreste sapere della sua storia? E, più in generale, com’è il nostro sguardo nei confronti della sofferenza? E’ uno sguardo che genera compassione (”patire-con”; “patire insieme”) o anche il nostro sguarda seleziona e separa, come il processo fotografico?

Entriamo ancora più nel merito di questa riflessione se comprendiamo altri dettagli di Sharbat Gula. Innanzitutto il nome. Quando Steve McCurry scattò questa foto, non le chiese il nome. La ragazza rimase nell’anonimato fino al 2002, anno in cui McCurry fu mandato di nuovo in quel territorio e ritrovò - comunque con enorme fatica - quegli occhi e quello sguardo, ormai segnati dal tempo. Nel frattempo, grazie a quella foto, McCurry era diventato un fotografo di fama mondiale. Quando Sharbat fu ritrovata, lei non sapeva nulla della fama della foto. Non sapeva che la sua faccia era stata riprodotta su riviste centinaia di volte e che l’avevano usata per farci mostre e retrospettive. Nulla. Lei era rimasta nella sua povertà e nella sua condizione di donna afgana, quindi tra abusi di vario genere e diritti mai riconosciuti.

La foto di McCurry, indubbiamente bella, non avrà una fine. Verrà riprodotta indefinitamente. La vita di Sharbat non ha avuto un riscatto, come la vita di milioni di donne in Afghanistan. E senza un riscatto, non c’è stata una giustificazione a tutte le sofferenze, non c’è stato un fine ultimo. Quindi: la creazione dell’uomo non ha fine e la dignità dell’uomo non ha un fine. Ma è solo apparenza.

Gesù, nel racconto di oggi, ci invita a cambiare sguardo. Lo sguardo deve essere rivolto a ciò che Dio rivela. C’è un’altra faccia delle cose che noi siamo chiamati a riconoscere e da cui siamo sollecitati a lasciarci ammaestrare. Solo restando fedeli alla Parola del Vangelo, si può comprendere la logica ribaltata del Figlio di Dio: la creazione dell’uomo - ogni creazione - ha una fine e la dignità dell’uomo ha un suo proprio fine ultimo. Del tempio di Gerusalemme, una delle meraviglie dell’antichità, è rimasto in piedi solo un pezzo di muro. Dipendesse da noi, cristallizzeremmo non poche esperienze e realtà attraverso le quali ci sembra aver ottenuto una certa stabilità. E invece no, ripete a noi Gesù.

Può crollare tutto ciò che abbiamo edificato, ma la preoccupazione del discepolo - insegna Gesù - deve essere quella di non smarrire la fede e di vivere con fede persino i momenti in cui tutto sembra precipitare. Non ha importanza, allora, conoscere un’ipotetica ora in cui si concluderà l’avventura umana o potrà terminare un’esperienza su cui avevamo investito. Ciò che conta non è la fine di ogni cosa ma il fine di ogni cosa, ciò per cui una cosa è stata perseguita o meno.

Un’altra ragazza afgana, Zhora, ci racconta di una nuova vita, di una dignità riacquisita. E con lei altri 119 profughi.

Dio costruisce percorsi di senso che hanno più valore di opere appariscenti costruite dall’uomo. Cambiare lo sguardo: questo è l’imperativo. Non come si guarda una foto, per quanto bella: un fotogramma di vita che nulla ci dice della vita vera che sta dietro. Lo sguardo del discepolo deve essere ampio, così da abbracciare il vero disegno di Dio, quello che dà senso e costruisce il fine di ogni cosa.


Ti prego, Gesù, fa’ che con la tua grazia io non mi stanchi mai di cercarti e di adorarti con tutto il cuore.

Insegnami a conoscerti e ad amarti per imparare da Te ad incontrare e prendermi cura degli altri e a vivere in pienezza la mia vita.

Fa’ che il mio cuore non si inorgoglisca, non cerchi cose più grandi delle mie forze.

Fa’ che si apra al mondo con il Tuo sguardo di compassione e di misericordia e che nel mio cuore trovino eco le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce di tutti, dei poveri soprattutto e che sappia anche partecipare con ciò che sono a portare un po’ di Cielo in terra.

Affido a te, Maria, tutti noi affinché ci accompagni, ciascuno con la propria vocazione, in un cammino che non abbia paura di fidarsi ed affidarsi a Gesù, ma che tenda verso l’alto e che profumi di santità, per la gioia del mondo intero. Maria, Madre della Chiesa, prega per noi. Santi e Beati dell’Azione Cattolica, pregate per noi.

 
 
 

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